Broni Nugola Milano               I ricordi sono come le ciliegie

(piccola espansione finale)      Una tira l’altra

                                           Ciliegie autunnali.            

 

                                                                                                                                                  

Ne devi mangiare ancora di polenta….. si diceva al ragazzo che manifestava una qualsiasi forma di presunzione. E di polenta vivevano. Una grossa forma sul tavolo, e di domenica un’aringa. Strusciavano la polenta sull’aringa. Per farla durare. (ricordi di nonnoLino)

 

Quando un maglione mostrava evidenti i segni dell’età veniva disfatto, la lana lavata raccolta in matasse che tenevo allungando le braccia davanti a me mentre mia madre la raggomitolava. Pronta per diventare calze, sciarpe e mutande invernali.

 

Era arrivata la 13° e mia madre, appoggiata alla stufa, spiegava a mio padre cosa avrebbe dovuto comprare. Tormentava con eccitazione quel milleLire provando un evidente piacere tattile nell’arrotolarlo e srotolarlo. Quando mio padre fu pronto ad uscire e le chiese i soldi, lei fu convinta di averglieli dati. Un rotolino di cenere assieme ad altri fogli restava ben evidente sopra il carbone ardente.

 

Mio padre aveva a che fare col carbone tutti i giorni. Il gas allora si produceva bruciando questo fossile e lui era Fuochista al Gas. Nelle serate estive, quando era di turno, andavo con la mamma a trovarlo. Il nero era dappertutto, montagne di carbone, sacchi e polvere nera ovunque, anche su di lui. Giallo, arancione, rosso e lingue di fiamma azzurre mi apparivano quando apriva uno dei forni per caricarlo. Era uno spettacolo affascinante. Il giorno in cui nacqui mio padre andò a lavorare di pomeriggio. Passò a trovarlo l’arciprete ed il suo modo di congratularsi per l’avvenuta primogenitura fu: non aspetterai che venga a farsi battezzare da solo; ovviamente in dialetto. Era da mio padre soprannominatosac ad carbon  per la veste ed il tabar  nero in cui era avvolto in quei giorni di gennaio.

Alla fine degli anni 50 il gas non fu più prodotto, ma arrivò attraverso i gasdotti e l’Azienda Gas ridusse il personale. Mio padre fu il primo ad essere licenziato; era quello che teneva i contatti con il sindacato.

 

Avrebbe potuto creare una generazione di  parenticidi  il famigerato “ricostituente” a base d’olio di fegato di merluzzo!  Mi anestetizzavo il palato spremendoci spicchi di mandarini. Si, sono cresciuto, ma ancor’oggi sopravvengono i conati quando sento l’odore dei primi mandarini stagionali.

 

Mia madre da ragazzina aveva avuto la pleurite, ed a quei tempi, questa malattia ora facile da debellare veniva vissuta con grande paura e vergogna. Il ricordo la spingeva ad un controllo annuale ai polmoni. I miei compresi. I “raggi” venivano fatti all’ospedale di Stradella, mamme e bambini tutti in mutande e maglietta in un salone semibuio con il radiologo protetto da un grembiulone probabilmente al piombo che diceva: tutto bene, avanti un'altra.

 

In primavera il professore di ginnastica ci portava all’oratorio, aperto solo per la scuola, ci diceva di formare le squadre e leggeva la Gazzetta per un’ora. Ero l’ultimo ad essere scelto. Le partite finivano attorno ai 18 gol a 15. Un giorno finalmente e fortunosamente segnai un gol che raccontai a mio padre. È il gol dello zoppo!  Why? Si, di quello tanto scarso che nessuno si prende la briga di curare. Evviva.

 

Non seguivo ancora il calcio, ma tenevo dalla Fiorentina in omaggio ai parenti toscani. Sarti, Robotti, Castelletti  e vinsero lo scudetto. Vidi la mia prima partita di calcio all’osteria. La televisione troneggiava nel cortile del bar, tante sedie, tanti uomini e tanti calici di vino rosso. Finale mondiale. Il Brasile sconfisse la Svezia, paese ospitante, per 5 a 2 o a 3. Didì, Vavà, Pelè.

    

Nella palazzina alle CasePopolari vivevano solo sei famiglie. Solo tre bambini: io e due bambine. Ricordo con piacere M2, carina, simpatica ed esplorabile. M1 era prima della classe, saccentina, leggermente antipatica ed inesplorabile. Ma incontrata poco tempo fa, mi fece capire, sempre in modo poco simpatico, che era cambiata. Mi diede il numero di telefono che gettai appena lei voltò l’angolo. Dio perdona, io no.

 

Negli ultimi tempi di Broni ero spesso a letto ammalato. Quattro giorni di febbre a 39 ogni due mesi. Quattro centimetri conquistatiad ogni febbre.

 

 

 

 

NonnoPrimo di sera giocava a carte in una nuvola di fumo di pipe e toscani con i suoi coetanei dell’Appalto. Ogni scopa subita, ogni setteBello perso erano pretesto per una bestemmia. Ma non di quelle monotone e grevi dell’Oltrepò, queste erano piccoli capolavori di fantasia. Vinceva ovviamente chi faceva più punti, ma anche chi la sparava più divertente degli altri. Intorno a loro un gruppetto di spettatori scoppiava in risate e tifo. Nonno uscì con un: accidenti al primo di novembre!  Dovetti farmi spiegare che in un solo colpo aveva colpito  tutti i santi del paradiso.

 

In una terra di Pepponi, lo zio ed il cugino Alberto erano donCamilliani. Alla vigilia d’elezioni, prima che la notte si sciogliesse e prima che aprissero il seggio, Alberto raccoglieva i volantini disseminati dai rossi, sostituendoli con quelli dello scudo crociato.

Le donne si mettevano in coda davanti al forno comune, per cuocere le torte casalinghe con le quali avrebbero festeggiato la vittoria del Partito.

 

Ogni tanto Alberto mi portava al mare a Tirrenia. Partivamo in Lambretta cantando: Il suo nome era Cerutti Gino….  Alberto era un fan di Domenico Modugno. Volavamo nel blu dipinto di blu, e ci tuffavamo in un blu dipinto di blu appena arrivati. Non sapevo ancora nuotare. Sapevo un po’ volare, con fantasia, dalle parti della posta.

 

All’oratorio di Milano non tutto iniziò facile. Non avevo mai frequentato, a Broni mi bastava la campagna. Scarso a pallone, non avevo mai giocato a ping-pong, calcioBalilla e tam-tam. Ero scelto sempre per ultimo, evitato fino all’inevitabile. Inoltre le febbri accumulate mi avviavano verso gli 1,83, risultando così filiforme, impacciato goffo sgraziato. Quindi irriso da buona parte di coetanei che sappiamo piuttosto sadici in quell’età strana. In una partita nel campo a sette capii che ridevano di me ogni volta che un ragazzino basso e svelto mi passava alle spalle. Mi scoprii la schiena piena di sputi. Oggi raramente incontro quel ex ragazzino; droga, furti, prigione ed alcool sono stati la colonna sonora della sua vita.

 

A Milano non avrei potuto manifestare la mia fede Viola, perciò mi accinsi alla scelta tra le due squadre cittadine. La nuova Inter del neo-mago Herrera partiva alla grande ma poi a vincere erano sempre i rossoNeri. Ed io non potevo iniziare saltando sul carro dei vincenti, non è mai stato nella mia indole un tantino masochista. Poi il blu accostato al nero era sicuramente meno chiassoso, più discreto, più intimo ed elegante….. Ma i neroAzzurri mi ripagarono subito, dall’anno successivo. Ed alla grande.

Sarti Burgnich Facchetti Bedin Guarneri Picchi Jair Mazzola Milani Suarez Corso. allenatore H.H.   Indimenticabile Grande Inter.

 

Negli Aspiranti si teneva un concorso nel quale  prendevamo punti ad ogni funzione religiosa presenziata. Appena arrivato vidi il vincitore nell’imbarazzante scelta tra la divisa della squadra preferita ed un pallone. Di cuoio. Cavolo!  Da allora non persi una funzione, una messa, una comunione.

A maggio, il mese mariano, finiva il concorso che mi avviavo a stravincere arrovellandomi sul premio che avrei scelto. Oramai orientato sulla divisa dell’Inter, dato che il pallone comunque in oratorio era sempre reperibile, fui premiato con un libro su Vita, Morte e Miracoli della Madonna. Fui considerato troppo pio per essere oltraggiato da un venale pallone. Odio ancor’oggi i concorsi. E non solo.

 

I tanto agognati jeans arrivarono alla vigilia di una gita di terza avviamento. Allora i jeans andavano acquistati di diverse taglie più grandi e subito lavati. Assieme alla negoziante cercai di farlo capire a mia madre che non volle andar oltre un paio di taglie. Me li consegnò lavati alla vigilia della gita; mi arrivavano 10 cm. dalle scarpe. Passai la serata con l’orlo inferiore infilato nel cassetto della scrivania ed i piedi contro, tirando furiosamente i pantaloni verso di me. Inutilmente. Non indossai mai i miei primi jeans e per averne altri non ricordo quanto aspettai. Ma tanto.

 

La gita si svolse al S.Carlone d’Arona e piovve tutto il tempo. C’era una ragazza carina, un visino ovale e dolce e ricca dei miei 14 anni, ma che frequentava la seconda. Un piccolo inciampo di percorso. Camminavamo vicini e non avevamo ombrello. Chiesi alla prof. se avessi potuto prenderla  sotto la mia giacca a vento usata come riparo. E nascosti dalla giacca finimmo la gita abbracciati. Anche sul pullman, seduti di fianco.

Agli esami di terza, negli intervalli del pranzo, Betty veniva a farmi compagnia mentre mangiavo un panino seduto sull’argine erboso del Naviglio. Mi portò a vedere la cascina dove viveva e tentai un’esplorazione con il gran desiderio d’essere quella volta meno superficiale. Ebbe solo paura dell’arrivo di qualche parente sparso per la campagna. Ma bastò.

Finii gli esami e l’oratorio a tempo pieno me la fece scordare. E mi fece smettere per anni i panni da esploratore.

                          

               Oramai il fondo del barile è tutto raschiato.

 

Qualcuno ha detto che ognuno di noi si porta dietro il passato, ma vivere è anche conservare i propri ricordi: forse nel cuore c’è un cimitero. E poi, prima di voltare la pagina, è consigliabile rileggerla. Anche per ritrovare qualcosa che sembrava perduto. Soprattutto le occasioni; le nostre storie dipendono così poco da noi…..

 

                                                                                                                                                                               Enzo E. Biagi  (Odore di cipria)